L’uomo preistorico viveva in un contesto ambientale piuttosto pericoloso pur nella sua semplicità dove la priorità era la lotta quotidiana per la sopravvivenza, ovvero cacciare e procurarsi il cibo, cercando allo stesso tempo di non diventare il pasto di qualche predatore o cadere vittima di qualche veleno proveniente da animali o piante. A vederla così sembra una vita non troppo invidiabile, ma l’istinto animale, da sempre presente nella nostra razza, la faceva da padrone fornendo tutta una serie di attitudini e capacità basate sul vivere l’ambiente quale parte integrante. E’ probabile che l’uomo preistorico provasse paura molto spesso nel proprio percorso dalla nascita alla morte, ma era una paura reale, naturale, una paura che un essere connesso con il macrocosmo, di cui è contenitore e contenuto, doveva vivere come ineluttabile. Era essa compatibile con una coerente evoluzione psicofisica dove si può agevolmente supporre che la respirazione seguisse le modalità tipiche di qualsiasi animale, ossia che in caso di evento pauroso il naturale ritmo di inspirazione-espirazione subisse una modificazione inducendo il blocco del diaframma e che poi, passato il pericolo, tornasse a svolgere la sua azione in modo armonico e funzionale.
Ho più volte sottolineato nelle lezioni de ”l’Officina del respiro” che nel contesto contemporaneo, l’essere umano nasce con una respirazione corretta, e che, progressivamente, con la crescita, egli perda gran parte della propria capacità, intesa come ampiezza e durata, passando dal respiro corretto a una respirazione di sopravvivenza, ben lungi da ciò che sarebbe necessario per una confortevole condotta di vita. Il perché di ciò è stato fonte di studio e ricerca da parte degli psicologi, sia in passato che in tempi contemporanei, arrivando tutti alla medesima conclusione: che il diaframma, individuabile come “muscolo della paura” ha mantenuto la caratteristica atavica e istintiva di bloccarsi in caso di spavento, rendendo di fatto l’uomo meno intercettabile da parte di un predatore. Il protrarsi di eventi “paurosi” dalla nascita in poi, fa sì che nell’evoluzione dell’essere per divenire si inneschi una riduzione della capacità respiratoria andando, di fatto, a strutturare un respiro che ci fa sì sopravvivere, ma non vivere. Se pensiamo, poi che il diaframma è una struttura con un grande potenziale di forza che si lega fisiologicamente alla zona cervicale e alla zona lombare, comprendiamo, anche a livello intuitivo, quanto una progressiva riduzione dell’escursione naturale di questa membrana, che separa la zona addominale da quella toracica, possa inficiare l’atteggiamento posturale che va mano a mano a ripiegarsi su se stesso contribuendo, fra l’altro, a chiudere sempre di più lo spazio a disposizione della membrana diaframmatica. Si innesca così un circolo vizioso che conduce a gravi problemi strutturali a carico della colonna vertebrale e di tutte le funzioni ad essa connesse, anche a livello di innervazione.
Non è secondario il fatto che una respirazione di sopravvivenza si basa su circa mezzo litro di aria per atto respiratorio quando invece la capacità polmonare potrebbe arrivare fino a circa tre litri, il che si traduce in un ritmo respiratorio molto accelerato perché possa garantire un sufficiente afflusso di ossigeno a tutte le strutture e organi funzionali del corpo. Un ritmo accelerato del respiro viene letto dai recettori del corpo come affannoso, tipico di una condizione di malattia, pur non essendoci alcuna patologia in atto, fino a strutturarsi come “naturale condizione fisiologica” per quell’individuo che si troverà a vivere come fosse malato anche se in realtà non lo è, aprendo, a lungo andare le porte a reali e possibili patologie.
Da considerare anche la funzione importantissima che il diaframma dovrebbe svolgere come pompa ausiliaria nella distribuzione del sangue e che, se funzionasse a dovere, arriverebbe ad alleggerire il compito del muscolo cardiaco che altrimenti si trova costretto a sobbarcarsi tutto il lavoro privilegiando il nutrimento delle funzioni sì essenziali all’organismo ma tralasciando quelle periferiche, non strettamente vitali ma altrettanto importanti per il corretto e armonico funzionamento della macchina umana.
Concludendo, ma ci sarebbe ancora molto da disquisire in merito, il diaframma svolge un’ escursione corretta quando il suo movimento fisiologico fa sì che si produca un suo spostamento verso il basso di 6/8 centimetri a ogni atto respiratorio anziché di mezzo centimetro, estensione caratterizzante la respirazione di sopravvivenza. Questa escursione ha un’importante funzione nei confronti degli organi legati direttamente e indirettamente al diaframma e che potremmo semplicemente definire come un massaggio, protratto per 24 ore al giorno, con le ben immaginabili benefiche ripercussioni su tutto l’organismo umano. Difatti, se è correttamente sostenuto e non dilatato, l’addome mantiene gli organi, in esso contenuti, nella loro collocazione naturale, e fa sì che ogni qualvolta il diaframma si contrae scendendo verso il basso, vada a creare il tipico effetto spugna che favorisce il flusso sanguigno al loro interno nonché le peristalsi periodiche, mantenendo in tal modo la regolarità degli intestini e dello stomaco.
A questo punto verrebbe naturale chiedersi, che differenza vi sia tra la paura che provava l’uomo primitivo e la paura di cui parlano oggi gli psicologi… Senza dubbio il presente in cui noi oggi viviamo è un tempo diverso da quello di 2,5 milioni di anni fa, ma qui entra in gioco l’evoluzione della “perfetta” macchina umana, così perfetta che nell’arco dei millenni è andata a sviluppare attitudini e capacità sempre più sorprendenti, passando da una situazione di armonia con il macrocosmo a una condizione di dominio sull’ambiente naturale, privandosi, di fatto, della capacità di partecipare in modo attivo e fattivo alla propria evoluzione la quale sempre più si è discostata dal naturale per spingersi in un contesto a densa matrice artificiale. L’uomo evoluto ha “plasmato” il proprio mondo in base alle sue esigenze modulando tutto ciò che gli creava disagio, passando dal vivere nella natura allo snaturare il vivere quotidiano. Ha creato abitazioni sempre più confortevoli dove fa caldo in inverno e fresco in estate, tutte le necessità ritenute essenziali sono soddisfatte in poco tempo e senza alcuno sforzo, anche l’abbigliamento, sempre più tecnologico, ha progressivamente ridotto la capacità di adattamento dell’individuo all’ambiente inibendo sempre più l’istintualità e allontanandolo dall’armonia con il macrocosmo che di fatto lo contiene. La tecnologizzazione ha definitivamente inibito le preziose capacità percettive e adattative che possedeva quando era solo un ominide, e tutto questo ha fatto sì che la perfetta macchina umana si rammollisse sempre di più perdendo la capacità di reazione tipica dell’essere primitivo. Siamo infinitamente più vulnerabili di quanto non lo fossimo milioni di anni fa, ma i pericoli di adesso sono sempre più subdoli, non certo manifesti ed elementari come lo erano in origine. Oggi abbiamo paura di tutto ciò che non conosciamo, ovvero noi crediamo con pensiero razionale di essere forti e protetti perché molto più intelligenti, in realtà, questa maggiore intelligenza, è la nostra prima debolezza, e il nostro lato inconscio, che il razionale non può controllare, tutto questo lo sa, ed è il motivo principale per cui il nostro respiro tende a ridursi progressivamente mentre cerca di adattarsi al mutare della società contemporanea.
La buona notizia è che il diaframma è un muscolo e come tale, con un certo impegno e la dovuta dedizione, lo si può allenare e istruire affinché, in un congruo lasso di tempo, possa tornare a garantire la nostra vita al di là di una misera sopravvivenza. Tutto questo le discipline di origine orientale lo hanno sempre saputo ed è il motivo per cui, dallo yoga al Qi Gong fino alle tante attività di tipo fisico definite di lunga vita, ci si occupi da sempre di costruire la propria sostanza sulla pratica assidua del respiro. Questa consapevolezza è arrivata da anni anche in occidente, ma ancora oggi la cultura del respiro è ben lontana dall’essere così diffusa come dovrebbe.
Nella tecnica dello shiatsu, che pratico a livello professionale da molti anni, è ben presente questa competenza, ed è fondamentale che un aspirante operatore cominci fin dai primi anni di formazione a strutturare il proprio respiro affinché, una volta terminato il proprio percorso, sia che voglia avviarsi alla professione, sia che che decida di farne uno strumento di volontariato, ma anche un semplice passatempo per il benessere dei propri cari e amici, questo diventi il pilastro di sostegno di tutta la propria autorevole presenza.
Quando l’operatore è consapevole di quanto si possa migliorare la propria condizione di vita grazie a un respiro corretto, diventa promotore di una competenza di importanza fondamentale nella sinergia che si crea nella coppia che forma l’evento shiatsu. Abbiamo la responsabilità di esser d’esempio per i nostri clienti e questo funziona solo e soltanto se siamo beneficiari di uno stile di vita quanto più possibile corretto e che utilizzi un efficiente modo di respirare, atto a esprimere la vitalità che un corpo in armonia deve essere in grado di dimostrare e trasmettere.
Nella pratica del trattamento shiatsu non possiamo ignorare quanto ho scritto nella prima parte di questa nota, ovvero il collegamento fisiologico fra il diaframma, che non è facilmente raggiungibile dall’esterno, con il collo e la zona lombare, dedicando la giusta attenzione alla sinergia fra questi distretti corporei che io definisco i vertici del triangolo del benessere. Sappiamo bene che noi operatori shiatsu lavoriamo su più livelli, uno dei quali è quello fisiologico, ovvero il più tangibile, e un altro ancora quello energetico, ovvero quello più complesso da spiegare e raccontare. Esattamente in questa equilibrata visione duale risiede la forza del nostro agire, perché molte delle funzioni fisiche che traggono beneficio dal nostro lavoro, sono supportate da un’intricata rete di flusso di Qi, percepibile solo dopo molti anni di pratica. E’ l’intervento sapiente dell’operatore shiatsu che va a ripristinare questa circolazione e a ri-armonizzare tutto l’essere ( volutamente non lo definisco semplicisticamente “corpo”) portando nutrimento dove manca facendo sì che i risultati ottenuti a livello strutturale vadano progressivamente a stabilizzarsi.
La sinergia creata con il corretto respiro, da indicare ai nostri clienti mediante semplici esercizi da fare a casa, lo stimolo nel flusso del Qi, tipico del lavoro su meridiani-punti-zone, e l’intervento sulla struttura fisiologica generano tutti insieme il migliore strumento che possiamo avere a disposizione per accompagnare chi si rivolge a noi in un percorso di riscoperta delle proprie potenzialità, affinché possa ritrovare un’autonomia che guidi a prendersi cura di sé e del proprio essere.
Concludo sottolineando che questo ultimo pensiero messo nero su bianco è tutt’altro che una deresponsabilizzazione per tirarci fuori dalla figura del terapista, che di fatto non siamo, ma anzi è proprio un grande incarico da parte di chi decide di intraprendere questa strada che porta altresì a lavorare con il prossimo come scelta consapevole.
Ringrazio per la gentile e sapiente revisione Francesca Leolini
